di Paola Pieragostini
Fa della conoscenza e dell’amore per le parole poste in intima relazione con le dodici note, un dialogo che celebra le emozioni implicite della vita, fino a toccare gli animi e predisporli all’ascolto di se stessi in relazione al prossimo e al tempo. E questo, Alfredo Rapetti Mogol, in arte Cheope, paroliere e pittore, lo fa con la responsabilità di chi conosce e riconosce nel valore dell’arte, un dono ricevuto, pertanto da condividere in un costante processo di rinnovamento umano, sociale e culturale. Di ritorno dal Festival di Sanremo per cui ha firmato tre testi di canzoni in gara, tra cui ‘Mariposa’ di Mannoia meritevole del Premio ‘Bardotti’ per il Miglior Testo in gara, Cheope sarà presente alla seconda edizione di Humanity. Terrà una Master Class riservata agli otto semifinalisti nel pomeriggio di sabato 2 marzo nella città di Offida, sarà presidente di giuria nella stessa sera al teatro Serpente Aureo della stessa città e sarà membro di giura nella competizione finale tra i finalisti, che si terrà al teatro Sperimentale di Pesaro, domenica 3 marzo, alle 17.
Ci si aspetta che il figlio di Giulio Rapetti Mogol, sia un paroliere, secondo lei?
“Non lo so.. Avevo circa 13 anni quando scrissi i miei primi testi con la matita rossa e blu di mio padre. Poi intorno ai 17 anni ho smesso di fargli leggere quello che scrivevo. Ho sentito la necessità di dare voce solo a me stesso”.
Da Alfredo Rapetti a Cheope. Non sarebbe stato più facile Alfredo Mogol?
“Avevo voglia già da giovanissimo di dire ‘sono Alfredo’. Poi agli inizi della mia carriera, conoscevo la mia vocazione ma non le mie potenzialità. Volevo che la mia famiglia stesse lontana da questa incertezza e non volevo imbarazzare mio padre. Allo stesso tempo sapevo che lui avrebbe compreso avendo avuto lo stesso problema con il nonno. E il tempo mi ha dato ragione nel farmi sentire libero. Dopo la mia affermazione professionale infatti, è arrivato il momento in cui mio padre mi ha chiesto di firmare una canzone insieme. La richiesta è valsa per me come un riconoscimento da parte sua, e cioè essere all’altezza di scrivere con Mogol. So che è qualcosa che non mi avrebbe mai chiesto prima della mia affermazione, tanto meno averi accettato”.
La strada per il successo non è stata però facile..
“Assolutamente no. Ho fatto l’editore musicale per circa dieci anni prima di arrivare al testo che ha aperto il varco alla mia professione. Sono stati anni di gavetta difficili ma importanti”.
Perché importanti?
“Una volta la musica era fatta di un numero ridotto di artisti e canzoni. Gli artisti avevano bisogno di due, tre album prima di affermarsi. Questo mi ha permesso di vivere il tempo ‘dell’incubazione’ fatto di studio, del provvedere a se stessi e collaborazioni con realtà importanti. Ho potuto vivere tutto ciò che è necessario per costruire passo dopo passo un percorso edificante a livello personale, motivazionale e tutto ciò che concorre all’edificazione professionale”.
Adesso non è così. Gli aspiranti artisti hanno fretta..
“Partiamo da un presupposto legato ai cambiamenti del tempo. Ai miei esordi c’era un imbuto, dove gli artisti dovevano passare, che è la casa discografica. C’erano una classifica, valutazioni e previsione di vendite di copie. Oggi non è così. Adesso chiunque può autoprodursi e mettersi in rete. Questo comporta che escano migliaia di canzoni al mese. Se da una parte questo fattore è molto democratico perché tutti partono alla pari, dall’altra è difficile farsi spazio e complicato emergere. E purtroppo questa difficoltà cova fretta di riuscire e frustrazione”.
Ha conosciuto anche lei questa frustrazione?
“Il momento più difficile per un autore è quello che precede la scrittura di una canzone che sia riconosciuta da tutti. E’ facile dire ‘scrivo canzoni’ ma la domanda è: quale di grande successo? Quindi sì. Conosco questo sentimento psicologicamente difficile, che per me è finito con il successo di Battito Animale di Raf”.
La sua svolta..
“Era il 1993 e quella scintilla ha acceso anche l’interesse di Laura Pausini, artista con cui ho collaborato più di tutti, in un percorso lunghissimo che prosegue ancora oggi con l’album Anime Parallele di cui ho firmato brani e titolo”.
Quanto è valso per la sua affermazione, essere ‘figlio d’arte’?
“Un artista non ti sceglie perché sei figlio d’arte. Nessuno canterebbe una canzone che non risponda alle sue aspettative di piacere e previsto successo. Poi è chiaro che il riferimento alle origini familiare c’è”.
Collabora e presta la sua arte a tanti artisti. Dall’imminente Sanremo, esce con tre collaborazioni importanti, ognuna un successo di critica e pubblico: Mannoia, Dargen D’Amico e Ricchi e Poveri. Cosa le piace delle collaborazioni.
“La creatività ed il confronto delle idee che partono sempre dalla radice umana dell’essere persona che diventa piacere della condivisione. E poi lo scambio di esperienze nel dare e ricevere”.
Si ritiene un uomo felice?
“Grato alla vita più che felice, e sorpreso di quello che ho fatto fino ad ora”.
Perché ha detto ‘sì’ all’Humanity?
“Partecipo pochissimo ai concorsi. Ma qui sono rimasto colpito dalla passione con cui viene proposto. Poi si svolge nelle Marche, ed è una regione che conosco poco e vorrei conoscere di più. Quindi sono felice di esserci”.